A primavera si mangiava l’erba selvatica…la cicerbita, il piede d’uccellino…

Un viaggio nelle campagne mezzadrili di Silvana Boni, attraverso i paesaggi della raccolta di erbe e funghi, del cibo legato alle stagioni, della diversità biologica e culturale. Una narrazione carica di energia, capace di trasmettere il valore di conoscenze e pratiche della natura dalla lunga storia, preziose per il nostro futuro. La voce di Silvana ci guida dentro un patrimonio vivo e vitale nel paesaggio. Una voce che nasce dalla potente memoria di una famiglia contadina, consapevole dell’importanza della relazione con le risorse naturali del pianeta, dentro il ciclo della vita, dell’anno, delle stagioni.

Nel 2011 (progetto “Officina del racconto”) Silvana Boni ha raccontato la sua infanzia contadina, la famiglia mezzadrile, i poderi, la terra nel ciclo delle stagioni, la tavola e i cibi cucinati da sua nonna e sua madre. Il racconto ci guida attraverso i paesaggi di una forma di vita travolta dalle trasformazioni del 900, capace di trasmettersi in eredità viva ribelle e tenace, incarnata nella persona di Silvana.

La cultura contadina mezzadrile rivela in questa testimonianza le sue profonde energie ed i suoi valori: è scienza della terra, della varietà e diversità delle risorse, degli equilibri ecologici e sociali, dell’alimentazione sana variata e saporita, della parsimonia e della condivisione.

Il racconto si apre con una viva sequenza d’immagini che legano e collegano al lavoro della terra le risorse spontanee, funghi ed erbe. Le raccolte di primavera ed autunno diventano sughi, minestre, tagliatelle, ribollite… la memoria del cibo, del crudo e del cotto, ritrova e ricostruisce i contesti del lavoro, del quotidiano e della festa, nel “mondo a metà” della mezzadria.

Raccogliere, conoscere, cucinare

Abbreviazioni: V. Valentina L. Zingari; S. Silvana Boni

Ora da settembre lì sopra i’ ponte e c’era i pinaroli, la ditola, i rossini…

V. Cosa si raccoglieva nella… natura?
S. Ora da settembre lì sopra i’ ponte e c’era i pinaroli, la ditola, i rossini… allora: un po’ si mangiavano quando li trovavan freschi, quelli piccini, i pinaroli, li sbucciavano, li facevan cuocere, sbollentare con l’acqua e l’aceto e poi li mettevan sott’olio e pe’ mangialli co’i lesso, la sera e poi i’ lesso che rimaneva il giorno dopo lo rifacevan con le cipolle, i’ grasso, questa roba qui, capito… Allora: quelli piccini li mettevan sott’olio poi quegl’altri un po’ più peggio e li seccavano, li attaccavano n’i’ cammino. Prima su un graticcio di canne se c’era il sole, poi in un sacchetto, li attaccavano sotto la cappa d’i’ camino e rimanevan secchi… poi quando li volevano li mettevano a molle e ci facevano i’ sugo pe’ la polenta o pe’ i nastroni. Ma i nastroni di fra settimana l’era difficile, l’era polenta, tagliatelli fatte co’ fagioli… i nastroni era pasta grande che si faceva la domenica e anche a brodo, la tagliavan più fine… Però come patì di fame, mai!

Si doveva imparare a fare ogni cosa ! Dicevano “Impara l’arte e mettila da parte!”

S. Fagioli se n’è mangiati tanti! Anche i fagioli si facevan noi, un po’ cannellini e un po’ borlotti ma no i cannellini, quelli di Montalbano si seminava, a strisce… a mezzi campi, poi doveva essere battuto a coreggiata, quella l’era la penitenza… sai icchè vol dire “a coreggiata” ? Co’ i’ correggio, se tu pigliavi quell’altro ni’ capo…! S’era uno di qua e uno di là… a battere que’ cosi… Fagioli, ceci, cicerchie, formentone, fave, l’era tutto battuto a coreggiata… perché la macchina la un c’era, batteva solo l’avena e i’ grano.
V. Lo facevate voi ragazzi?
S. E ci chiamavano insieme a loro a vedere e a imparare perché se gli fosse battuto n’i’ capo… e si doveva imparare a fare ogni cosa ! Dicevano “Impara l’arte e mettila da parte, se la un ti serve e unn’importa! ” E ci facevano viaggiare eh! Un fanno mica come ora che li fanno dormire fino a mezzogiorno! Allora i’ pane ci si guadagnava per noi e poi s’aveva a guadagnarne mezzo pe’ i padrone! L’era bigia e gliene dico io!
V. E col padrone che rapporti avevate?
S. Buoni. I rapporti erano buoni. La domenica venivano a vedere le bestie, come le si tenevano, no no, noi co’i padroni un c’era niente da dire…
V. Per tornare alla raccolta nella natura… si raccoglievano le erbe selvatiche?

A primavera si mangiava l’erba selvatica, la cicerbita, il piede d’uccellino…

S. A primavera si mangiava l’erba selvatica, la cicerbita, il piede d’uccellino, e si cocevano ni’ paiolo e poi le rifacevano con l’aglio e l’olio. Il piede d’uccellino si chiamava noi, quella piantina tutta rotonda che fa quei fiorellini gialli, quella piantina tutta rotonda, si mangia cotta, cruda no. Cotto si mangiava cicerbite e piedi d’uccellino. Poi si mangiava i vitarbini, la frittata di vitalbe, s’andava a cercare gli asparagi ni’ campo facevano in qua e in là, l’asparagina e poi le vitalbe se ne mangiava tante, le punte di vitarba, la frittata. Si mangiava tutta roba genuina. A primavera paioli di quest’erba, di cicerbite, anche crude le si mangiavano, la salvastrella, la cicerbita e il lattugaccio perché allora ni’ grano lavorando la terra veniva questo lattugaccio, gli era bellissimo e bono, bono, bono… a piazzate ne veniva ni’ campo, nasceva indo’ si seminava i’ grano… una specie di insalatina fine, una specie di terracrepoli, come tu gli voi chiamare. Lattugaccio, sì, e si mangiava crudo…

Ma gli strigoli. ci facevano il riso. O sennò lessi conditi, ma di molto facevano la minestra di strigoli. Ancora vo’ a pigliargli quando ci sono, è un’erba grassa, un’erba grassina, a filo, con tutte le foglioline…

V. Dove stavo io, a San Casciano, raccoglievano gli strigoli…
S. Anche noi! Ma gli strigoli ci facevano il riso. O sennò lessi conditi, ma di molto facevano la minestra di strigoli. Ancora vo’ a pigliargli quando ci sono, è un’erba grassa, un’erba grassina, a filo, con tutte le foglioline. La minestra si faceva co’i’ soffritto, perché allora gli usava i’ soffritto… prima in quest’acqua si cocevano questi strigoli, poi ci si buttava i’ soffritto poi ci buttavano i’ riso. E avevano un padellino co’i manico lungo ci mettevano un po’ di cipolla, un po’ d’olio lo facevano rosolare e poi lo buttavano nella pentola: quello gl’era il condimento. II soffritto gl’era solo cipolla. E invece la minestra di pane, la ribollita, si faceva parecchia co’ cavolo nero, e le rape. Il cavolo nero si seminava a campi, d’inverno e si mangiava parecchio di quella roba lì, eh… La ribollita facevano i fagioli borlotti, quand’e gli’eran bell’e cotti ci buttavano i’ cavolo nero tritato fine fine, patate, e la carota se ce l’avevano, e poi anche lì facevano i’ soffritto e poi gli affettavano tutt’i pane a fette nelle zuppiere… via via un sòlo di pane e un sòlo di codesta roba. Poi pe’ fa’ la ribollita il giorno dopo la ricocevano in padella con l’olio un’altra volta e lì gli facevano ‘i soffritto anche alla ribollita. II pane lo tagliavano tutto a fettine lunghe, un sòlo di pane, e un romaiolo… e con la minestra ricoprivano i’ pane. Sicchè si trovava quelle fettine fine fine di pane e poi dimolto gli era cavolo, fagioli, e patate… Sennò facevano i’ pasticcio di patate e fagioli e cocevano i fagioli poi ci mettevano anche le patate insieme, facevano i’ soffritto e si mangiava così una scodella come fusse minestra.

La mattina si portava colazione ni’ campo, si faceva le migliacciole di farina dolce o sennò le migliacciole di quell’altre…

V. Mangiavate con altre famiglie ?
S. Se veniva qualcuno ad aiutacci rimanevano sempre… questi pigionali rimanevano sempre a mangiare… la mattina, mettiamo il tempo delle ulive venivano a aiutarci anche da Fiesole… la Cagnola la si chiamava, i’ su marito gli avea i muli, anche lui andava a portare i sassi, le pietre dalle cave, la Cagnola la chiamavano, l’era un soprannome… stavano in Borgunto, qualcheduno dei su’ figlioli ci sarà ancora… l’è venuta fino a’i cinquanta-cinquantacinque a raccattà le olive qui… e la mattina si portava colazione ni’ campo, si faceva le migliacciole di farina dolce o sennò le migliacciole di quell’altre… e i’ pane… si metteva una migliacciola in mezzo a’ i’ pane… quando s’aveva la farina di castagno e la facevan dolce e sennò di farina bianca, co’i’ latte, un ovo, e sbattevano un mezzo tegame di questa roba con la farina poi la buttavano in padella co’i’ romaiolo poi le rigiravano e l’era la migliacciola… la mattina a colazione gl’usava, capito? Se s’aveva i’ salame, qualcosa e si poteva porta’ quello… sennò l’eran dimolte migliacciole a’i tempo dell’ulive… l’era la fine dell’anno, i’ maiale l’era già finito… sennò pasta fritta … questa roba qui… mica tu portavi il caffellatte ni’ campo… e mangiavan questa roba qui e un c’era discussione! All’otto facevan colazione e mangiavano le acciughe, o migliacciole, se c’eran degli omini gli potevan cocere du’ova, un po’ di formaggio … s’aveva le pecore… ma sai… mezzo lo pigliava lui e rimaneva poco… poi s’aveva da grattare… però gli era bello, eh!

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Un racconto di Silvana Boni. Una voce dalle campagne mezzadrili
Un racconto di Silvana Boni in dialogo con Valentina Lapiccirella Zingari, nell’ambito del progetto « Officina del racconto », 7 Ottobre 2011, Fiesole Villa Monetti
Questo paesaggio narrativo è composto di elementi di documentazione raccolti ed analizzati in due diversi contesti di ricerca. Il primo incontro con Silvana è avvenuto nell’autunno del 2011 ed ha segnato l’inizio di un’intensa collaborazione ed amicizia. Un secondo momento di documentazione si è svolto nel 2014, in preparazione dell’opera multimediale “Raccogliere, conoscere, cucinare”, e del filmato “Sotto gli ulivi”.
Mentre la registrazione sonora da cui è tratta la selezione di frammenti è avvenuta durante il nostro primo incontro, nel 2011, le immagini sono state riprese durante un incontro di documentazione avvenuto nella primavera del 2014.

Francesco Perna, durante una conversazione registrata nella sua farmacia (progetto “Officina del racconto”, 2011) mi aveva parlato di Silvana come di una personalità antica e familiare, quasi un mito di fondazione del contado fiesolano. Personaggio resistente e di confine, Silvana è sempre vestita alla moda contadina, con il grembiule blu e le scarpe grosse.
Silvana mi riceve nella cucina, dove registro il suo racconto, popolato da molti oggetti e una ricca documentazione costituita da fotografie di famiglia e libretti colonici preparati in previsione del mio arrivo e dell’intervista. Il racconto si fa testimonianza di una delle famiglie mezzadrili che con il loro lavoro e la loro cultura hanno costruito e curato, palmo a palmo, le terre ed i paesaggi fiesolani. Un racconto solenne, testamento di un’epoca e di una forma di vita.

La selezione di frammenti che compongono questo paesaggio narrativo è legata alla volontà di fare emergere le conoscenze della natura di Silvana, in particolare quelle legate alle attività di raccolta stagionale, i funghi e le erbe, e ai modi e luoghi della preparazione dei cibi della memoria familiare.