Questa è tutta una montagna di cave!

Una visione del paesaggio di Montececeri abitato e lavorato dagli scalpellini. Una testimonianza della passione per il mestiere che si lega alla memoria collettiva di un popolo di cui il narratore si sente figlio ed erede. Una geografia delle cave di pietra che percorre le grandi trasformazioni del territorio, lette attraverso il vissuto biografico. 

Il primo incontro con Enrico Papini, considerato l’ultimo scalpellino attivo sul sito di Montececeri, è avvenuto nell’ottobre 2011. Enrico mi dà appuntamento a Prato ai Pini, davanti alla chiesa, pronto a farmi scoprire la “sua cava”. La sua narrazione è ricca di riferimenti alle competenze tecniche, al linguaggio della pietra, alle caratteristiche geologiche del luogo.  Il racconto si svolge come un percorso d’iniziazione che vuole attivare l’immaginazione di un mondo restato nascosto e dimenticato, travolto dalle grandi trasformazioni del ventesimo secolo. L’ambiente quotidiano di vita dello scalpellino è una capanna addossata ad un blocco di pietra serena carico di tracce del lavoro di estrazione: la cava è anche archivio di famiglia, deposito di attrezzi, reperti, pietre.  I cambiamenti del paesaggio seguono le grandi trasformazioni dell’economia e degli stili di vita, e Montececeri emerge dalle parole di Enrico come testimonianza viva di queste evoluzioni. I caratteri e l’unicità del luogo sono legati alle attività estrattive e al loro progressivo abbandono, che hanno trasformato un “paesaggio di masso” in paesaggio boschivo.

I frammenti che compongono questa narrazione sono estratti dalla registrazione sonora del nostro primo incontro, mentre le immagini ed i suoni sono stati registrati nel mese di maggio del 2014, per la piccola opera multimediale “Memorie nel paesaggio”.

Nell’immagine finale, Enrico ricorda il lago che si era formato dentro “cava Maurizio” in seguito all’allagamento della grotta, dove i ragazzi di Fiesole andavano a fare il bagno anche d’inverno.

Montececeri nel racconto di Enrico Papini

Abbreviazioni: V., Valentina Lapiccirella Zingari; E., Enrico Papini

La passione dello scalpellino? Io l’ho sempre avuta…

P. Ci ha passione, perché quando uno ci ha passione, tu fai… se un hai la passione… è come quello che studia…
V. E la tua di passione?
P. La passione dello scalpellino? Io l’ho sempre avuta… perché ho imparato, perché tu ci hai passione! Ma la pietra l’è bella, perché te tu devi pensare, tu pigli un pezzo di pietra, un bloccaccio come l’è tutto mezzo rozzo, e tu ci devi tirar fuori una cosa, gli è lì il bello, capito, è quello… io creo, creo… sto creando una figura, sto creando un’immagine, sto creando un capitello, una colonna, l’è lì il bello, l’è lì… io prendo un pezzo di pietra come l’è e sto creando questa cosa, per me l’è quello, l’è lì la passione, per dire io prendo un pezzo di pietra, anche se fo un acquaio, anche se fo una panchina, uno scalino, io creo… capito? L’è lì, quello il bello… io sto creando, è come lo scultore che crea una statua, un capitello, uno stemma… l’è un arte che la va a morire perché un c’è nessuno…
V. Per tornare alla passione, senti che questa tua arte ti viene da lontano?
P. Non lo so nemmeno dire, ti viene l’ispirazione e bisogna che tu la crei per forza, bisogna che tu la faccia… te tu devi creare una panchina, un capitello, capito?
V. Ti aiuta sentire che ci sono tanti…
P. Te tu devi pensare che ci ha lavorato centinaia… poi ci ha lavorato Michelangelo nelle cave, devi pensare a quello, mica uno che un capisce nulla! Lui levava la pietra nella cava del Fossato, giù a Maiano, la chiaman la cava del Fossato, la cava delle colonne…

Nella pietra c’è il verso per lavorarla…

P. Nella pietra c’è il verso per lavorarla, il controverso, la scaglia, se no fai tutte buche, se tu non lo conosci un la lavori mica la pietra, se tu avessi da spaccare un masso, con la mazza se un conosci il verso te puoi stare un giorno a spaccarlo, un si spacca! … mentre io le do du’ colpi, e fa trac!… e quando s’era ragazzi mi padre mi dava un sasso, un martello un ferro e io battevo, mi segnava una pietra, mi diceva, “questa traccia la devi far piana eh!” e io dovevo farla piana, e finché un la facevo piana un si doveva smettere… oggi domani, doman l’altro, la doveva venir piana la traccia! La subbiatura… la subbiatura a lisca di pesce, come quella lì, tu devi fare il regolino, la deve esser piano… se no glielo faceva rifare… la subbiatura con le punte deve venir diritta, finché un la facevi diritta tu battevi, e lì si imparava… se hai passione di farlo tu lo fai… se no un fai niente.

Le cave nostre le son tutte differenti da quelle di Santa Brigida e da quelle di Firenzola, perché noi ci s’ha più filari!

P. Le cave nostre le son tutte differenti da quelle di Santa Brigida e da quelle di Firenzola, perché noi ci s’ha più filari! Un è che ci s’ha un filare o due, noi ci s’ha parecchi filari! Ora io le porto un esempio, si parte da qui, e la prima partenza la si fa con un filare d’un metro, sopra un filare d’un metro c’è un filaretto, poi parte il filare gentile, un filare gentile di grana come sarebbe quel pezzo lì, lo chiaman gentile proprio per fare gli ornati, per fare le statue… poi dopo… sopra il filare gentile c’è il filare de’ nodi, un filare duro, duro sodo parecchio sodo tutto palle, nodi, quello un è per la lavorazione si può lavorare il sopra, la testa, praticamente, di questo filare, ma la maggior parte l’era di scarto… poi c’è il filare d’i crusca, il crusca perché questo filare l’è alto un metro quaranto, ne’ i’ mezzo porta 30 cm tutte ghiaie scure, nere, dopo glie le fo vedere quando siam là, a ghiaie nere, e quello l’è bono, il sopra e il sotto, nei mezzo no, l’è da scartare… poi sopra il filar gentile c’è i filaretti, di 30, 35, 40… poi riparte un altro filare di du’ metri, sopra quello di du’ metri c’è quello di tre metri, sopra quello di tre metri riparte il filare di cinque metri, poi c’è quello di 14 metri, alto, poi c’è quello di 10… poi riparte i tramezzoli, noi si chiaman tramezzoli son tutti pezzi di pietra bona, però… tutta a pezzi, di un metro, di du’ metri, di cinquanta… Fin qui c’è un metro, poi dopo riparte da Maiano, riparte altri filari, il filare di sette, di cinque… poi c’è le cave lunghe, noi si chiamano, la cave lunghe, le partan di quaggiù e l’arrivano fino alla cava d’i Braschi…
V. Tutta una montagna di cave…
P. È tutta una montagna di cave, da Maiano a andar su, son tutte cave… [E.P.1_29:30_33:00]

Prima Montececeri l’era così, gli alberi un c’eran mica, un guardarlo ora che c’è tutti gli alberi, prima un c’era mica niente! Nulla, l’era brullo, così, terra, un c’era nemmeno un albero, perché c’era il masso!

P. Prima Montececeri l’era così, gli alberi un c’eran mica, un guardarlo ora che c’è tutti gli alberi, prima un c’era mica niente! Nulla, l’era brullo, così, terra, un c’era nemmeno un albero, perché c’era il masso! L’era un monte pulito così… eccolo qui, vedi come l’era…
V. Ma tu non te lo ricordi così…
P. No io no, perché dopo guerra cominciarono a fare il rimboschimento, la forestale… cominciò a rimboschire, prima un vedevi nemmeno un albero… tutta roccia!

Poi c’era cava Maurizio, c’era un lago che noi da ragazzi si andava sempre a fare il bagno…

Poi c’era cava Maurizio, c’era un lago che noi da ragazzi si andava sempre a fare il bagno… ma l’era un lago grande, bello, accidenti c’era un acqua fresca limpida, chiara, accidenti bellissimo l’era questo lago… l’è cascato tutto, l’era a metà da Maiano… s’andava sempre a fare il bagno, d’estate c’era un’acqua chiara, limpida, sotto c’era la sorgente, perché… ora gliene spiego, in questa grotta praticamente, levavan la pietra sotto, n’i pavimento, allora fecero una righetta, uno strappo, noi si chiama strappo di tre quattro metri lungo, questo strappo e gli spaccavano per levar la pietra… magari quaggiù poteva esser du’ metri… e poi lì battevan con la mazza e lasciavan là la notte, così la notte il masso si spacca, la mattina quando l’arrivarono trovaron tutto il lago, nello spaccarsi si vede trovarono una polla d’acqua, trovarono tutto il lago, s’era allagata tutta la grotta… ha capito? Una piscina naturale… rimase gli attrezzi arnesi tutto, tutta la roba, c’era quattro metri d’acqua… e noi si vedeva giù sta roba, dopo piano piano si seccò questo lago, e poi ripresero tutti gli arnesi… ma dopo tanti anni…
V. E i ragazzi di Fiesole…?
P. Venivano, a voglia, a fare il bagno, ce ne veniva tanti! Specialmente il tempo di luglio, da casa si veniva via… io l’ho fatto perfino di gennaio il bagno, perché di gennaio unn’era ghiaccia l’acqua, l’era un po’ calduccina, quelle giornate di sole, calduccine… io l’ho fatto!

Questo paesaggio narrativo è composto di elementi di documentazione raccolti in due diversi contesti: una prima intervista avvenuto nell’ottobre 2011 (progetto “Officina del racconto”), e un intervento di ricerca progettato con la collaborazione di Enrico, finalizzato a documentare suoni ed immagini in previsione dei montaggi audiovisivi per il nuovo progetto “Narrando@Fiesole” . La raccolta di documentazione audiovisiva si è svolta nella primavera del 2014, tra maggio e giugno.

La famiglia Papini trasmette da diverse generazioni la tradizione del mestiere della pietra. La prima intervista ha un taglio biografico, e si sviluppa seguendo alcuni momenti della vita quotidiana di Enrico. Enrico mi dà appuntamento a Prato ai Pini, davanti alla chiesa. Il giorno del nostro incontro lo trovo ad aspettarmi pronto a farmi scoprire la “sua cava”.  Nel rumore della strada sterrata comincio a registrare le sue parole. Il tratto di strada che collega Prato ai Pini alla cava si snoda attraverso campi e boschi e finisce in un luogo nascosto e affascinante, pieno di reperti, blocchi di pietra, ceppi d’albero, attrezzi. Qui si trova la capanna, addossata ad un blocco di pietra serena carico di tracce del lavoro di estrazione, “la cava” che è anche archivio di famiglia, laboratorio di scultura, deposito di attrezzi, reperti, pietre. Una parte della registrazione documenta i movimenti di Enrico, come una visita guidata alla cava sulle tracce della memoria familiare, del padre e del nonno scalpellini, seguita da una dimostrazione del suo lavoro.

I frammenti che compongono questo paesaggio narrativo sono estratti dalla registrazione sonora di questo primo incontro. La loro selezione è legata alla volontà di fare emergere il senso di appartenenza che lega il narratore al luogo di Montececeri e al suo paesaggio, strutturato intorno ad alcuni punti forti: la passione per la pietra e per il lavoro dello scalpellino, il linguaggio e la geografia dei “filari di pietra”, la forte e diffusa presenza delle cave nel territorio, la specificità e le qualità della pietra di Montececeri. Il percorso si chiude con l’evocazione della trasformazione del paesaggio della collina, da luogo di lavoro e cantiere a cielo aperto, in cui dominava il masso, a paesaggio alberato, frutto di un rimboschimento determinato prima dalla temperie romantica e le scelte dell’inglese Temple Leader, in seguito, dopo la guerra, dagli interventi della forestale. Nell’immagine finale, Enrico ricorda il lago che si era formato dentro “cava Maurizio” in seguito all’allagamento della grotta, dove i ragazzi di Fiesole andavano a fare il bagno anche d’inverno.

Le immagini ed i suoni della piccola opera multimediale “Memorie nel paesaggio” sono stati registrati nel maggio del 2014. Si è trattato di un piccolo laboratorio, organizzato con i giovani artisti del Piccolo Cinema di Torino, al quale Enrico ha collaborato con grande impegno di testimonianza.